La nobile famiglia dei Rota, dalle origini bergamasche all’epopea Istriana
La nobile famiglia dei Rota, dalle sue origini bergamasche all’epopea Istriana
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Relazione presentata dal dott. Franco Rota al convegno internazionale di studio sul tema "Stefano Rota. Erudito, latinista, fondatore dell'Archivio municipale di Pirano", organizzato nella città istriana a cura della locale Società di Studi storici e geografici il 10 novembre 2017.
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Per conoscere e capire meglio la figura di un personaggio del passato, come - nel nostro caso - il conte Stefano Rota, giova cercare di risalire alle origini della sua famiglia, tratteggiando l’alveo storico - geografico nel quale la genealogia si colloca.
La possibilità di ricostruire correttamente eventi e fatti avvenuti secoli addietro è peraltro condizionata dalle fonti che si rendono disponibili. Il percorso del cognome familiare e l’interpretazione dei simboli ad esso legati aiutano sovente a integrare le testimonianze scritte e i documenti d’archivio. Restano ovviamente delle zone d’ombra, che occorre attraversare con interpolazioni, lasciando comunque degli spazio per successivi approfondimenti.
Vari studiosi si sono soffermati ad analizzare le origini del cognome Rota. Alcuni ipotizzavano un legame con la “ruota” che compare costantemente nei simboli araldici di tale dinasti: ma spesso, erano le famiglie a scegliere di adottare dei segni riconducibili in qualche modo al loro cognome.
Secondo i più accreditati storici milanesi, l'origine del patronimico Rota, molto antico e diffuso in Lombardia, va ricollegata all’espressione longobarda Rot Har (rosso di capigliatura), che si rinviene ad esempio nell’editto risalente all’anno 643 del re longobardo Rotari: duca di Brescia, di Bergamo e della Corte Regia di Almenno.
I Longobardi erano entrati in Italia nell’anno 568 al comando del re Alboino, abbandonando la Pannonia e insediandosi nel nostro territorio, ove poi rimasero per oltre due secoli. La sconfitta militare nel 774 dell’ultimo re longobardo, Desiderio, da parte di Carlo Magno, non cancellò da quest’area le stirpi germaniche, ormai latinizzate nella lingua, nella cultura, nella religione e che mantennero pure funzioni di governo locale, con vassalli e valvassori del nuovo Sacro Romano Impero.
Le famiglie degli “arimanni”, gli uomini liberi (in grado di portare le armi), discendenti dai primi invasori longobardi, diedero vita a un processo di disseminazione guidato dalla ricerca delle migliori condizioni di lavoro e di vita, di opportunità commerciali e di posizioni sociali.
I Rota sono una di quelle famiglie. Tre rami sembrano riconducibili alle origini arimanne: quello di Asti che si trasferì verso il sud originando i Rota di Napoli; quello di Milano dei de’ Raude, ora Rho, e infine quello progenitore dei patrizi di Bergamo e di Venezia. Questo ramo nacque nella curtis longobarda di Almenno (Bergamo) ed ebbe come culla il territorio con i piccoli comuni e borgate della Val d’Imagna. Significative a questo riguardo le tracce tuttora visibili nella piccola località di Pianca, in alta Val Brembana,su cui torneremo fra poco.
La prima memoria della famiglia risale ai tempi di S. Ambrogio. Lo storico Galvano Fiamma cita la presenza di questa casata in Milano fin dall’anno 826, nominandola de genere Rhodensium. Arioaldo e suo figlio Alderico erano definiti come uomini potenti della città. Un altro storico dell’area, il Brugali, definiva i Rota di Milano “tra i più illustri casati fin dal 1076”.
Col trascorrere dei secoli il cognome si diffuse con diverse declinazioni: Rota, Rotta, Roth, Rot, Rotharius, Rotarium, specialmente nell'Italia settentrionale: a Milano, Bergamo, Brescia, Monferrato, Cremona, Venezia e nel Friuli. Si misero in luce come uomini di legge, giudici, soldati di valore, nobili, ecclesiastici.
Nella chiesa parrocchiale di Pianca, è tuttora visibile sopra un altare lo stemma gentilizio con una ruota a cinque raggi sovrapposta al mezzo busto di un moro e con una fascia legante, sulla quale compare il motto "PER BEN FAR", esattamente corrispondente all’arma dei conti Rota di Momiano.
Ai lati dell’altare si trovano due busti in marmo, intitolati a un Giovanni e a un Cristoforo Rota, vissuti nel medesimo villaggio, in una dimora ancor oggi esistente e conosciuta come Casa Rota.
La generosità della famiglia verso la chiesa del paese trova riscontro nella lapide posta all’interno, ove si legge: “Questa antichissima parrocchia fu consacrata nell’aprile dell’anno 1447 dal Vescovo Ill. Monsignor Polidoro Foscari, riedificata ed ampliata l’anno 1700 a mano del popolo e spese della nobile pia e ricca famiglia Rota di Pianca”.
Ma torniamo agli antenati in linea retta del conte Stefano. Da documenti dell'Archivio di stato di Venezia si è potuto appurare che Bartolomeo Rota nel XV secolo era un personaggio di rilievo. Per i suoi meriti la Repubblica Serenissima gli concesse, nel 1443 un feudo nobile e gentile. Con successiva investitura del 22 luglio 1483 il privilegio venne esteso ai suoi eredi.
Suo figlio Orsino, sposato con Maria Morosini, si distinse a sua volta per doti di coraggio e di fedeltà, ricevendo il titolo di Conte del Sacro Romano Impero da Federico III. Nella città di Bergamo era conosciuto come uomo di legge.
Simone, suo figlio primogenito, non meno intrepido, venne insignito Cavaliere di Francia dall’imperatore Francesco I dopo la pace di Crespj. L'originale dell’investitura, siglata nel maggio 1538 dal cardinale Lorraine de Rôchetel, è conservato nell'archivio privato Rota-Gregoretti. Si riporta di seguito una traduzione del relativo testo francese.
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"Francesco, Re di Francia, per grazia di Dio.
Facciamo sapere a tutta la gente di oggi e a quella futura come sia giusto che una persona onorata e piena di virtù sia elevata ad alto titolo e grado d'onore per dare coraggio e desiderio ad altri di accedere a tale dignità ed onore.
Abbiamo saputo dal nostro caro cugino il Duca Detric Cavaliere del nostro ordine le virtù e le virtuose opere della nostra Buon’Anima Simon Rota bergamasco e per queste sue virtù desideriamo dare un titolo e un grado d'onore come sì merita.
Giacché è stato umilmente chiesto un titolo di cavaliere, ben volentieri gli sia accordato e dato da noi in presenza di molti principi e signori del nostro sangue.
Per nostra gioia egli può gioire e usare d’ora innanzi di tutti i diritti di Cavaliere d'onore, dei privilegi e prerogative tanto in guerra quanto nella vita civile. Può portare le armi qui dipinte.
Ha inoltre diritto di usufruire dei privilegi concessi sia ai nostri più alti ufficiali in Guerra che ai nostri nobili vassalli, e che tutto questo venga concesso anche ai suoi discendenti.
Questo è un nostro piacere e che tutto ciò detto sopra venga mantenuto nel tempo.
Fatto a Fontain
ebleau nel mese di maggio nell'anno di grazia 1538 e durante il nostro 25mo di Regno".
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